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Abruzzo, tradizioni e tipicità

L’olio abruzzese, i dolci tipici, la Panarda e il Saltarello

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L’olio abruzzese

Con circa 46.000 ettari di terreno coltivato a ulivi, centinaia di frantoi e tre Dop (Aprutino Pescarese, Colline Teatine, Pretuziano delle Colline Teramane), l’Abruzzo è uno dei maggiori produttori italiani di olio. Sono molteplici le cultivar, per lo più autoctone; le varietà dominanti sono la Dritta di Loreto e la Gentile di Chieti. Oltre a vantare una vastissima estensione coltivata, che va dalla costa adriatica sino a oltre i 500 metri di altitudine dell’interno, la coltura ha anche un’antica storia, testimoniata a partire dal V secolo a.C., quindi è un caso esemplare di agriCultura di cui anche il paesaggio è racconto.

Lo dimostrano due luoghi storicamente conservati con gli attrezzi di lavorazione delle olive: l’Antico Frantoio di Annibale a Pianella, in provincia di Pescara, e “Cantinarte” a Bucchianico, in provincia di Chieti, luogo che ospita un vero e proprio Museo dell’Olio in un antico frantoio settecentesco e dove è possibile svolgere degustazioni guidate. Le due situazioni presentano strumenti e illustrano metodi che dall’epoca romana sino ai primi decenni del ‘900 sono rimasti inalterati, poiché soltanto all’inizio del secolo scorso la Rivoluzione Industriale cambiò il modo di frangere l’olio. Il presente è, per esempio, l’Azienda Agricola – Oleificio “De Juliis Timando” di Pianella: 200 metri sul mare, filiera completa, frantoio con estrazione a freddo a ciclo continuo e a bassa temperatura, storia di tre generazioni. L’olio che si ottiene qui è dalle piante di Dritta, la cui crescita è favorita dal microclima e dal terreno argilloso. Olio di carattere, quello dell’Abruzzo.

I dolci

Tra le specialità tipiche abruzzesi meritano sicuramente di essere provati i dolci, che sono narrazioni di ruralità e, spesso, storia e leggenda. Fra questi i Celli ripieni (farciti di confettura di uve di Montepulciano, mandorle, cacao e cannella) e che a Vasto hanno la loro capitale, i Bocconotti di Castel Frentano, in provincia di Chieti, che sono pastafrolle ripiene di cacao, mandorle e cannella, ricoperti di zucchero a velo.

E poi le Sise delle Monache di Guardiagrele, sempre in provincia di Chieti. Il nome particolare trova diverse spiegazioni. La prima è che riproducano le tre maggiori cime dell’Abruzzo (Gran Sasso, Majella, Sirente – Velino) , ma si propende a metterle in connessione con il convento di monache del paese, oggi sede del Museo dell’Artigianato Artistico Abruzzese. Le versioni riguardo alle monache sono due. La prima è che avessero la consuetudine di camuffare il seno, inserendo qualcosa che lo nascondesse, da cui le tre protuberanze arrotondate del dolce. L’altra versione, più prosaica, è che siano state le monache più pettorute a insinuare il dubbio di possedere un seno in più della norma. Di fatto, le Sise delle Monache sono grandi pandispagna ripieni di crema pasticcera, una vera sfiziosità per gli amanti del dolce.

La Panarda, un trionfo di “abruzzesità”

Cos’è la Panarda? Forse il nome deriva da “pane” e “lardo” ed è un’antica tradizione che consiste in un banchetto di decine e decine di portate. Storicamente, la Panarda si svolgeva in occasione della festa di Sant’Antonio Abate, il 17 gennaio. In tempi di estrema povertà, quello era il periodo in cui le dispense erano più abbondanti di carne di maiale (che proprio in inverno si macellava) e di vini. In particolare le famiglie più benestanti offrivano la Panarda ai meno abbienti.

A studiare origini ed evoluzioni della Panarda, che più di essere un banchetto è un rito, è stato soprattutto l’Istituto Alberghiero “G. Marchitelli” di Villa Santa Maria (CH), insieme con l’Accademia Italiana della Cucina. Il numero delle portate può arrivare e superare le 50 ricette, comprendendo prodotti e piatti di mare e di montagna, formaggi e verdure. Il rituale prevede che si mangi tutto quanto proposto in tavola, con divieto di abbandonare i commensali per tutta la durata della cena. La Panarda è un vero e proprio viaggio nella cucina dell’Abruzzo e bastano i nomi di alcune delle ricette che la compongono a comprenderlo. La sequenza indicata da dagli antipasti ai dolci (non tutte le portate!), secondo la proposta del ristorante “La Casa del Gelso” di Città Sant’Angelo, nei pressi di Pescara: Polpettine di Alici e la Zucca, Cozze alla Vastese, Seppioline con Piselli, L’Arosticino, Galantina di Pollo con Sottaceti, Prosciutto Abruzzese tagliato al coltello, Lonza, Ventricina alla Vastese, Uovo ripieno di Funghi, Salsiccia secca di Fegato, Raviolo di Ricotta di pecora, La Chitarra con i Porcini del Gran Sasso, Il Caciocavallo di grotta, I sassi d’Abruzzo, i dolci da forno…

Il Saltarello

Esula da ricette e vini, ma è a suo modo il più idoneo accompagnamento per una festa abruzzese che non disdegni la musica: il Saltarello, insieme con la Spallata, è una delle danze più note dell’Abruzzo. Il Saltarello è in realtà una danza diffusa in molte regioni, soprattutto del Centro e del Sud d’Italia, ma la sua forma più riconosciuta è quella abruzzese. Il suo nome sembra derivare da “saltatio”, in Latino, che stava a indicare la danza. Diffuso fra i nobili sino al XVI secolo, iniziò a essere praticata anche da contadini e pastori dal ‘600 come momento di festa e di svago dopo il lavoro.

Saltarello
Saltarello

I suoi passi, il fatto che si balli a coppie, guardandosi negli occhi (ma sono le donne a ballarlo, in genere) e movenze sinuose lo fanno rientrare fra le danze di corteggiamento. In un passo del “Journal of the International Folk Music Council” del 1959 ho trovato la seguente citazione: “Guido Giuliante writes in praise of the saltarello of Abruzzo: ‘ the most original, and perhaps the most ancient of our dances…’ and suggests that iis rhythmic influence is to be found in ‘rock – and – roll“. Il saltarello, in sintesi, potrebbe essere il nonno del Rock and Roll!

Cinzia Montagna

Continua…

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