Dal 2 al 4 settembre. C'è anche Syusy Blady
Syusy in Toscana sul camper dei sogni
In viaggio fra le province di Pistoia, Siena, Arezzo e Grosseto. Guarda il video!
Sono sul camper a scrivere il resoconto del mio viaggio. Comodamente seduta su una poltrona, che neanche a casa: una poltrona girevole, dal posto di guida al tavolino retrostante. Per molti sarà normale, ma per me è un’assoluta scoperta. Fuori piove, ma io sono al calduccio e ripercorro le fasi del mio viaggio, poco più che un fine settimana, ma così intenso che mi sembra un lungo periodo di vacanza.
Cominciamo dall’inizio: ho da sempre la propensione al “nomadismo”, soprattutto se comodo e confortevole. Ne ho portato degli esempi nel mio sito nomadizziamoci.it da quando, andando in Mongolia, mi sono innamorata della yurta, la loro tenda/casa. Un amore così intenso che me ne sono portata una fino a Bologna, a mo’ di souvenir. Da lì ho capito che la propensione dell’essere umano è quella di viaggiare, spostarsi per il mondo, possibilmente portandosi dietro la propria casa. Ogni luogo è casa tua, lo vivi e te ne vai, possibilmente lasciandolo come lo hai trovato. Questo è lo spirito! Certo, se tutto quello che ti serve è su ruote è ancor meglio, quindi un camper è l’ideale. Un camper per viaggiare, non solo per fare una vacanza stanziale. Leggero, non ingombrante, facile da guidare anche da me che sono un po’ impedita, un camper che sia anche una redazione, un ufficio viaggiante dove rielaborare e comunicare il mio viaggio! Non esiste? Esiste, esiste, me lo hanno trovato: Laika mi ha prestato per alcuni giorni l’Ecovip 600. Così è iniziato il mio viaggio col “camper dei sogni”, che è meglio di quello di Barbie!
La Via del ferro etrusco
Il camper l’ho ritirato a Bologna, dal mio amico Ropa, un simpaticissimo rivenditore che conosco da tempo, un entusiasta sostenitore del viaggio camperizzato, che mi ha incoraggiato: “Dai che ce la fai, vedrai che è semplice guidarlo meglio di una macchina”. Così sono partita alla volta di Pistoia, non scegliendo l’autostrada, ma il percorso più lento, la Porrettana. Una strada che conosco e mi è familiare, ma percorrerla a piccole tappe riserva grandi sorprese: passato Sasso Marconi ecco Marzabotto dove gli Etruschi fondarono il loro porto di terra dove portare il ferro che, valicando l’Appennino, da qui arrivava a Spina per poi raggiungere la Grecia attraverso l’Adriatico. Proseguendo si arriva a Rocchetta Mattei, un castello eclettico assolutamente da vedere, nato dall’estro del medico omeopata, il Conte Cesare Mattei. Quindi è possibile visitare il Museo dei Tarocchi e, deviando un momento dalla strada, si può far tappa a Mont’Ovolo, un luogo dove sono passati in molti, dagli Etruschi agli stessi Templari.
Dopo Pavana, il luogo di elezione di Francesco Guccini, ecco Sambuca Pistoiese, il valico – a dire il vero molto comodo – dell’Appennino. A questo punto ho anche fame e mi chiedo se esistono ancora quei bar con un po’ di tutto, dove la signora ti affetta il prosciutto salato dentro due fette di pane-sciocco toscano. Espresso il desiderio, avverato il sogno: il baretto negozio-di-tutto c’è! Sambuca Pistoiese si trova sul Reno e si raggiunge attraversando un ponte. Lungo la valle si snodano i percorsi della antica Strada Romea e della Francigena, ma scopro anche l’antico percorso di pellegrinaggio, segnato dal simbolo della conchiglia, che porta a Santiago. Riprendendo il viaggio che, pur brevissimo, mi ha già riservato tante tappe e sorprese ed eccomi sulla terrazza dell’Appennino esposta a sud! Si vede che siamo a sud, il paesaggio contempla olivi, viti, cipressi, pini e magnifiche ville toscane: ho sempre rimpianto, in cuor mio, di non essere nata da questa parte dell’Appennino! Da qui sto arrivando a Pistoia.
La Yurta e il viaggio perenne
Cosa ci faccio a Pistoia? Mi hanno contattato gli architetti che da anni organizzano il 3GA, le tre giornate dell’architettura, che per ogni edizione individua un tema. Quest’anno è il Nomadismo e il mio sito nomadizziamoci.it li ha colpiti e ancor più la mia passione per la yurta, la casa/tenda dei nomadi dell’Asia centrale. Così ho promesso loro che avrei messo a disposizione la mia yurta che anni fa ho portato dalla Mongolia. L’hanno montata in piazza a Pistoia e io ci sono arrivata col camper. Tre giornate all’insegna del tema del nomadismo, dello spostamento e dei mezzi indicati per realizzare il viaggio perenne. Una bella esperienza in perfetta armonia col mio viaggio in camper!
Viaggiare senza il navigatore
Partire da Pistoia per andare ad Arezzo? Che strada fare per non percorrere la scontatissima autostrada ma stradine laterali? Questo è il problema… Per prima cosa decido di fare la Statale, non metto il navigatore con quella voce che mi dice sempre cosa fare, ho l’atlante stradale del Touring e uso quello. Costeggio l’Arno a lungo, anche arrivando a Firenze, così faccio in tempo a vedere da lontano la Fortezza, la città con la cupola del Duomo e le colline piene di cipressi, olivi e ville medicee. Poi prendo la strada che, sempre costeggiando il fiume arriva al Castello di Sammezzano. Ne ho sentito parlare, vedo che è più o meno lungo la strada, così m’inerpico col camper che si comporta benissimo, per la strada stretta che porta ad una chiesetta e poi al cancello dal quale si deve proseguire a piedi. Il bosco che attraverso stando sul sentiero, pieno di sequoie, fa un po’ paura, in questa giornata fredda con poco sole. Dopo aver camminato per un po’ mi appare un… mostro: lo scheletro di un albergo in cemento di cui per fortuna è stata interrotta la costruzione.
Appena più avanti ecco il Castello, una costruzione eclettica imponente in stile moresco/indiano/qualcos’altro. Da fuori fa impressione perché è abbandonato, dentro mi dicono è straordinariamente decorato. Lo posso ammirare sulle foto che trovo su internet e mi chiedo: che bisogno c’era di costruire quel mostro edilizio? Non si poteva ristrutturare il castello? Chissà quando si farà, per ora non ce n’è traccia. Il FAI cerca di farlo proteggere e il Comitato locale anche, ma che destino avrà? Mi viene da pensare a quello che è stato fatto per Rocchetta Mattei che ha lo stesso spirito. Speriamo. Con questo interrogativo mi scaldo un toast in camper al calduccio e telefono al mio amico Fabrizio, di Arezzo: tanto ormai lo sa che faccio sempre tappa da lui quando passo di qui.
Le spade nelle rocce
Secondo giorno. Parto da Arezzo destinazione Chiusdino, una cittadina medioevale dove si può visitare la casa di Galgano Guidotti che diventerà San Galgano. Mi dirigo col camper all’Abbazia, lo parcheggio nell’area apposita – peccato che non si sia una fontanella per fare acqua – e prendo il viale che porta all’Abbazia, bellissima monumentale, ma col tetto a cielo aperto, perché? Le ragioni sono molteplici: fu costruita nel 1218 dall’Ordine dei monaci Cistercensi, arrivati qui dal Lazio, si suppone dall’abbazia di Fossanova, che ho visitato tante volte e che è una copia quasi esatta di questa. L’Ordine era noto per insediarsi in terreni anche paludosi bonificandoli e coltivandoli e qui era un luogo perfetto. L’Abbazia fu un centro importantissimo fino alla peste e alla carestia del 1350, seguita dal saccheggio di eserciti vari. Poi nel 1700 cadde anche un fulmine che danneggiò il tetto, ma si dice anche che il piombo di cui era ricoperto fu saccheggiato e utilizzato per fare palle da cannone.
Syusy a San Galgano Abbazia di San Galgano San Galgano
Su una collinetta vicina all’abbazia, Monte Siepi, sorge la primigenia chiesetta dove san Galgano si ritirò in eremitaggio, dopo aver piantato la sua spada di ferro nella roccia. Questa la leggenda. Beh, San Galgano, come nome, assomiglia a Galvano, un cavaliere della Tavola Rotonda, e la spada da estrarre dalla roccia è quella più famosa di re Artù. Una leggenda nordica, appunto. Ma, ancora, la spada potrebbe essere quindi Excalibur, invincibile, perché forgiata in un metallo durissimo. Mi viene da pensare che quello che si vuole simboleggiare sia l’estrazione di un metallo dalla roccia, per fare la spada. Quindi questo è il tema della metallurgia e della abilità del fabbro, che nelle leggende nordiche come il Kalevala di solito insegna all’apprendista l’arte di forgiare una spada. Se poi la spada è lavorata e il ferro mischiato alla ghisa e ad altro diventa acciaio in grado di battere qualsiasi altra arma di ferro o bronzo. Per questo invincibile! E questo insegnante, quasi un Dio, si chiama Vir e a me viene in mente anche Viracocha, il Dio che estraeva metalli in Perù. Quanti collegamenti! E quante spade nella roccia! Io ne ho viste anche in Sardegna a Su Tempiesu.
Cantare il Maggio
Terzo Giorno. Il mio amico Felice Vinci, per intenderci l’ingegnere che ha elaborato la tesi di Omero nel Baltico (secondo cui Troia si trovava in realtà nel Nord dell’Europa) mi suggerisce, visto che sono da queste parti, di passare da Civitella Marittima dove sta l’amico Gianfranco Franceschini, un grande promotore dei cantori dei Maggi, che canta lui stesso. Il canto di maggio è una tradizione che si perde nel tempo e che oltretutto è rimasta orale. Ogni primo maggio un gruppo di uomini va per il paese e per le fattorie della zona a cantar maggio e a ricevere doni sostanzialmente culinari. Cantar maggio vuole dire cantare in modo polifonico un testo molto allusivo, ispirato alla fertilità e alla gioia dell’arrivo della primavera.
Questo per raccontare in modo oggettivo di cosa si tratta, ma l’esperienza umana che si fa, seguendo i cantori nel loro incontrarsi, cantare e passare buona parte del tempo in buona compagnia a scherzare e a mangiare cose inenarrabilmente buone, è indescrivibile, va vissuta. A casa di Gianfranco o alla Locanda del paese si possono assaggiare specialità come la trippa di frittata, o i maccheroni (che poi sarebbero tagliatelle) con il pollo, il tutto cucinato con l’olio di qui, veramente eccezionale. Poi si può mandar giù il tutto con un assaggio del Maremma amaro prodotto da Nannoni, distilleria di grande pregio dove l’eccellenza, che è premiata con numerose medaglie d’oro, è assicurata da una donna: Priscilla, vera appassionata della distillazione. Insomma, d’ora in poi, sapete cosa fare il primo maggio!
Civitella Marittima Nannoni Grappe Syusy sul camper
Paludi e miniere
Il Parco Nazionale delle Colline Metallifere, nella zona nord della provincia di Grosseto, è molto esteso: centomila ettari. E comprende sette comuni delle colline maremmane: Gavorrano, Scarlino, Follonica, Massa Marittima, Monterotondo Marittimo, Montieri e Roccastrada. Nel citare i Paesi mi sono chiesta come mai tutti questi marittimi, visto che ci troviamo in tutta evidenza sulle colline. In realtà qui c’erano delle maritime, cioè delle marcite, che era il nome che si dava alle paludi che si estendevano nella pianura. Nella zona di Scarlino ci sono ancora i padule, un’area umida protetta. Quindi qui le paludi e i laghi erano navigabili e questo mi fa pensare alle mura megalitiche poligonali di Roselle o di Vetulonia e ai loro antichi costruttori che sempre edificavano sulle colline prospicenti le paludi.
Gavorrano Geomuseo delle Biancane Museo della Miniera
Ancora più strano è pensare che sotto le colline coperte di verde e di boschi dove la vite, l’ulivo e anche i cipressi toscani ricoprono il terreno, ci siamo chilometri e chilometri di gallerie minerarie che sono state sfruttate dai tempi più antichi e abbandonate solo recentemente. L’industria metallifera da queste parti dava lavoro a quasi tutta la popolazione del territorio e al proposito ho avuto una guida informatissima, Fabrizio Santini, che mi ha portata in giro per i paesi delle colline fino a Gavorrano, dove è la sede del parco e del museo. Lì ho incontrato Alessandra Casini, il direttore del parco, che mi ha raccontato quanto lavoro veniva fatto per l’estrazione fino agli ultimi tempi del ‘900. Mi ha parlato della pirite, un minerale dal quale si estrae acido solforico che è la base di ogni processo chimico, ma che ormai si ricava da un sottoprodotto del petrolio. Ma l’estrazione dalla terra dei metalli – mi dice – è il verbo ricorrente di questa terra. Estrarre. Questi minerali ricchi di metalli sono stati ricercati fin da epoche antichissime, dall’età del rame, terzo millennio avanti Cristo. Mi conferma che ci voleva un grande sapere per trovare le vene e le tracce di minerale in superfice, i cacciatori di metalli dell’antichità sapevano dove trovarli, da indizi minimi. Il minerale del quale è fatta l’ascia di Otzi, l’uomo trovato sulle Alpi della fine del quarto millennio a.C., veniva da qui.
Il monastero buddista
Mi arriva una telefonata da Massimo Stordi, che è venuto a Kathmandu quando ci sono andata con Battiato ad intervistare i Lama tibetani. Lui è un monaco buddista. Franco lo aveva interpellato per avere i contatti giusti e così abbiamo passato un po’ di piacevolissimo tempo assieme. Visto che sono dalle sue parti, mi invita a venire a Pomaia, nel comune di Santa Luce, per assistere al Capodanno tibetano. Così cambio rotta del camper, non senza decidere di passare l’ora di pranzo in riva al mare, una deviazione facile da fare che mi dà gioia. Mi scaldo una zuppetta mentre guardo il mare. Davanti a me ho le isole di Capraia e l’Elba e mi chiedo anche quali siano le terre che vedo in lontananza, non sarà la Corsica?
Una volta arrivata all’Istituto Lama Tzong Khapa, luogo di studio e di sviluppo delle qualità interiori, mi accoglie Massimo, che mi spiega che da anni l’Istituto fa corsi di meditazione accogliendo chiunque voglia approfondire le discipline buddiste. Il loro sogno è costruire un Tempio su una cava dismessa. Così si recupererà un territorio ferito dall’estrazione della pietra serpentina che è servita per costruire la superstrada, costruendo un Tempio e un Monastero in stile tibetano che diventerà il primo centro europeo. Mi fa visitare la miniera, mi colpisce che la pietra serpentina sia la pietra di cui è fatta la Venere di Savignano, di 25 mila anni fa: “E’ un segno importante – mi dice la monaca Carla, studiosa della Dea Tara – Saremo immersi nel ventre di Tara!”.
Inaspettatamente viene fuori il sole appena viene fatta la Cerimonia della farina: dopo le preghiere, gli incensi e la benedizione delle bandiere, si butta ritualmente la farina in alto in segno di prosperità e subito tutti ritornano bambini e la farina se la buttano addosso per scherzo, dando inizio alle danze tradizionali. Per un momento mi è sembrato di essere in Tibet dove, peraltro, non sono mai riuscita ad andare. Comunque è ora di tornare anche per me. Riprendo la strada col mio camper dei sogni ripercorrendo col pensiero tutti i luoghi, i cibi che ho assaggiato, le persone che ho incontrato. Ho percorso solo 400 km, ho passato in giro pochi giorni, ma mi sembra una vita che sono per strada, portando però la casa con me!
Syusy Blady