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Sardegna Nord Ovest: Lago Baratz e Alghero

Slow Tour di Patrizio Roversi attraverso l’area della Nurra

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Arrampicandomi su per una stradina circondata da prati verdissimi vedo un po’ più sotto un lago, piccolo ma che risplende di un colore indefinibile, tra l’azzurro e il verde. Attorno ci sono massi di granito e macchie spinose, e più avanti dei pini. Potrei essere in Irlanda, o comunque nel nord dell’Europa. Ma più sotto si intravede una striscia di mare di un colore inequivocabile e unico: sono decisamente in Sardegna. E il lago è il Baratz, l’unico bacino naturale dell’Isola e non dimostra i suoi 10.000 anni: infatti è stato generato dall’ultima glaciazione, quando il formarsi dei ghiacci ha fatto diminuire il livello del mare (esattamente il contrario di quello che sta accadendo oggi) e quindi la terra si è come alzata, lasciando questa depressione che è diventata lago, alimentata da vari torrenti, e che poi si sfoga verso il mare con una incredibile sorgente d’acqua dolce chiamata S’ebbi Dolzi.

Sono nella Nurra, la regione all’estremo nord-ovest della Sardegna, tra Sassari, Alghero e Porto Torres, fino a Stintino e all’Isola dell’Asinara.

Lago di  Baratz, Sardegna, Immagine di Flickr User Tristan Ferne

Lago di Baratz, Sardegna Immagine di Flickr User Tristan Ferne

Sono nella Nurra, la regione all’estremo nord-ovest della Sardegna, tra Sassari, Alghero e Porto Torres, fino a Stintino e all’Isola dell’Asinara.

Il complesso nuragico di Palmavera, che risale al 1.500 a.C., che era composto da quasi 200 capanne, testimonia che nell’antichità la zona era abitata e presumibilmente ospitale: c’erano metalli e probabilmente ripari e selvaggina. Ma dopo la Nurra è certamente diventata molto più selvaggia, si è impaludata, è diventata malsana, malarica e disabitata. La lotta da parte dell’uomo per riconvertire, risanare e riconquistare questo lembo di terra inizia praticamente dal 1600, quando vi si insediano un migliaio di famiglie di agricoltori. Ma bisogna arrivare all’epoca fascista per vedere arrivare nuclei di contadini da… Ferrara, che fondano Fertilia, con la missione di bonificare la zona e dissodare la terra. Una cosa simile a quella che in quegli anni stavano facendo i Veneti in provincia di Latina. Poi nel secondo dopoguerra la spallata finale: arriva il DDT degli Americani, la malaria è sconfitta e quindi la riforma agraria avanza, col frastuono delle ruspe e delle mine per eliminare i massi di granito.  I pastori sardi, attoniti, la chiamano “la Corea”, perchè sembra il teatro di una guerra. E da allora tutti la chiamano così. Adesso la Nurra è una zona agricola preziosissima, vicina al mare, tutta (o quasi) coltivata.

Nuraghe di Palmavera, Sardegna. Immagine di Flickr User Tristan Ferne

Nuraghe di Palmavera, Sardegna. Immagine di Flickr User Tristan Ferne

Ma forse la cosa più fertile di questa zona è l’humus-antropologico, un misto incredibile di popoli che l’hanno colonizzata nei secoli. I primi furono i Nuragici, quindi i Fenici, poi certamente i Romani e gli Arabi. Ma dopo il 1100 arrivano le Repubbliche Marinare: Genova e Pisa. E a metà del 1300 arrivano dalla Spagna gli Aragonesi, che si portano dietro i Catalani, con i quali ripopolano Alghero.

Alghero sunset, pic by Flickr User Michela Simoncini

Tramonto ad Alghero, Immgine diFlickr User Michela Simoncini

Alghero – come molte cittadine italiane – ha una periferia un po’ così, un lungomare un po’ così, con qualche albergone un po’ troppo grosso, ma in compenso ha un bellissimo centro storico e un porticciolo dolcissimo, affacciato su un tramonto che ha dei colori che si trovano solo in Sardegna, dove il mare esplode in un cielo che il maestrale si incarica di tenere sempre pulito e terso.  Alghero deriva da alghe, cioè dai “pascoli” subacquei del suo golfo, che riproducono in mare la fertilità della sua terra: infatti qui si pescano le famose aragoste e i ricci, che sono dei veri prodotti tipici locali, con un sapore speciale. Tanto speciale che le aragoste rischiano l’estinzione, e i ricci non sono da meno. Quindi adesso ci sono delle regole da rispettare: una stagionalità per la pesca, limiti di numero per i ricci e di lunghezza per le aragoste.

Patrizio Roversi

Immagine di Flickr User Tristan Ferne

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