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La mia scuola di cioccolato a Perugia

Quello che ho imparato sul cioccolato

Se chiedete in giro probabilmente molta gente vi dirà che tra i prodotti tipici di Perugia c’è… il cioccolato. Naturalmente il cacao si coltiva in climi molto diversi e lontani dall’Umbria, ma certamente la lavorazione del cioccolato, nell’immaginario collettivo, è legata alla produzione e alle varie manifestazioni che si tengono da queste parti.

E allora – visto che le tradizioni si possono anche inventare tramite un uso efficace del marketing – succede che anche una industria possa diventare attrazione culturale e possa proporre contenuti “turistici”. E’ il caso del Museo Perugina del cioccolato, dove personalmente ho vissuto una esperienza che definirei psico-gastronomica: ho partecipato ad un Corso da cioccolatiere. (Mi raccomando: cioccolatiere, non cioccolataio, che ha da sempre un significato negativo, indica persona poco seria, fanfarone…).

Sarà che il cioccolato è una sostanza antica e misteriosa, che viene da lontano, legata ai Maya che da sempre hanno un sapore misterioso. Saranno tutti i film che recentemente hanno celebrato il cioccolato. Sarà che il cioccolato è un antidepressivo col rischio della dipendenza ed evoca trasgressioni dietetiche e magari persino afrodisiache… Fatto sta che cucinare il cioccolato provoca una certa emozione, a priori. Se poi partecipate ad un corso intensivo (e ipercalorico) per imparare a farvi da soli i vostri cioccolatini, vi rendete conto che lavorare il cioccolato significa intraprendere un vero itinerario alchemico.

Infatti per diventare lucido e croccante il cioccolato deve passare ripetutamente e repentinamente attraverso vari stadi di temperature: prima si scalda per scioglierlo, poi si raffredda versandolo su una superficie di marmo, poi lo si deve portare ad una temperatura specifica (temperaggio), quindi si versa (dopo aver preparato un ripieno a piacere) negli stampi, poi di nuovo lo si raffredda in frigo.

L’atto del versare il cioccolato è un gesto temerario, come se si maneggiasse cosa viva. Spalmarlo poi con la spatola è una vera libidine. Leccarsi le dita è inevitabile e molto godibile. E quando hai staccato i tuoi cioccolatini dallo stampo e li assaggi e li trovi perfettamente professionali e lo chef ti fa i complimenti e ti consegna il diploma da “piccolo cioccolataio casalingo”, ti pare d’aver imparato un‘arte-da-mettere-da-parte, e che ti permetterà in futuro di strabiliare amici e parenti proponendo delizie uniche nel loro genere. Insomma, ti senti in qualche modo un “iniziato”…

Patrizio Roversi

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